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SOMMARIO

Prezzi freddi e rendimenti ai minimi: in questo scenario, che cosa conviene fare? Lo 0,4% lordo dei Bot a 12 mesi basta infatti a malapena a coprire le imposte sugli interessi maturati e i costi di commissione, non l'aumento (sia pure minimo) dell’inflazione. Tra investire in Bot e non investire affatto, a questo punto, sembra non ci sia quasi differenza. Le soluzioni? Apparentemente sono tre

Inflazione allo 0,5%. Occorre un check urgente sui titoli di Stato

Prezzi freddi e rendimenti sui titoli di Stato ai minimi. Che fare? La notizia che l'inflazione nell'eurozona è scesa a marzo allo 0,5% su base annua fa il paio con il dato dell'aumento del costo della vita in Italia, che sempre a marzo ha toccato, ancora su base annua, il livello dello 0,4%.

Non più di un anno fa la corsa dei prezzi nella Penisola si attestava all'1,6%, un valore molto basso ma ancora ben lontano dalla soglia della “deflazione”, il nuovo grande pericolo che incombe sull'economia europea e italiana in questo inizio di primavera.

Occuparsi di inflazione calante, o addirittura di deflazione, la diminuzione generalizzata dei prezzi dei beni e dei servizi che provoca un vero “blocco” del sistema economico, vuol dire, per un risparmiatore occuparsi del rendimento dei propri investimenti, in particolare in obbligazioni.

Con il calo continuo dei prezzi e la diminuzione del rischio Italia, sono scesi i rendimenti dei Btp e il famoso spread tra Bund e Btp a dieci anni è andato la scorsa settimana a 159 punti e potrebbe diminuire ancora un po'. Oggi un Btp a dieci anni rende il 3,31% (il Bund tedesco sulla medesima scadenza appena l'1,72%), il titolo a cinque anni l'1,95%, il Btp a due anni lo 0,88%, mentre il tasso dei Bot a un anno, nell'ultima asta è stato addirittura polverizzato a poco più dello 0,4%.

Che cosa conviene fare in questo scenario? Ci sono alternative sicure ma con rendimento più elevato rispetto ai titoli di Stato? Quali sono i maggiori rischi che corre oggi un risparmiatore?

Il tasso di interesse “reale”
Il fatto che i rendimenti offerti dai titoli di Stato italiani (o dalle obbligazioni governative di quasi tutti i paesi dell'eurozona, compresi ormai anche la Grecia e il Portogallo) siano oggi così bassi può essere visto come una buona notizia. Le drammatiche giornate che abbiamo attraversato ancora nel luglio del 2012, quando i mercati tifavano apertamente per una rottura dell'euro, con tutte le imprevedibili conseguenze che potevano derivare da un evento così traumatico, sembrano scongiurate.

Ma questa constatazione offre scarso sollievo a chi puntava a una integrazione del reddito attraverso le cedole dei risparmi accumulati. L'aspetto più positivo, per i risparmiatori che fanno affidamento sul flusso degli interessi del proprio portafoglio a reddito fisso, è che il valore del capitale non è minacciato dall'erosione dei prezzi.

Anzi, il tasso di interesse reale, dato dal rendimento nominale dei titoli meno il valore dell'inflazione è ancora positivo. Perfino il modestissimo 0,8% pagato dai Btp a due anni corrisponde a un rendimento positivo dello 0,4% al netto dell'inflazione (che come abbiamo visto è dello 0,4%). ---- Tuttavia sulle scadenze più brevi, ad esempio a un anno, anche il piccolo guadagno reale provocato dalla diminuzione della corsa dei prezzi può trasformarsi in una perdita. Lo 0,4% lordo dei Bot a 12 mesi basta infatti a malapena a coprire le imposte sugli interessi maturati (12.5%) e i costi di commissione (0,2-0,3%), non l'aumento dell'inflazione (+0,4%) Tra investire in Bot e non investire affatto a questo punto non c'è quasi differenza.

Ecco perché sulle scadenze di brevissimo termine l'unico impiego produttivo dei risparmi sono i conti deposito (online e non) con vincolo a 12 mesi. Le migliori offerte ancora in circolazione, sebbene la tassazione sui depositi sia al 20%, riescono a fruttare un rendimento netto compreso fra l'1 e l’1,5%.

I titoli di Stato a medio e lungo termine.
Chi aveva in portafoglio a inizio anno un giardinetto di titoli di Stato di diversa scadenza, con durate comprese fra i due e i dieci anni, avrebbe realizzato nei primi tre mesi del 2014 (dato aggiornato al 7 aprile) un rendimento medio del 5,93%.

Tanto ha reso infatti l'indice Merrill Lynch Italy Government Index, che tiene d'occhio un paniere di emissioni italiane a varia scadenza. Un guadagno così elevato, quasi il 6% in tre mesi, è dato proprio dall'effetto della diminuzione dei rendimenti che fa aumentare il valore di mercato dei titoli già emessi.

Sarebbe assolutamente illusorio, a questo punto, immaginare un altro 6% di guadagno nei prossimi tre mesi, o anche da oggi a fine anno. I tassi potranno scendere ancora un po', e provocare dunque un effetto “ricchezza” sul portafoglio titoli già emessi. Ma questo effetto rimane assolutamente teorico a meno di non disinvestire il portafoglio titoli stesso.

Ecco perché la sola alternativa possibile, come suggerisce anche uno studio della banca JPMorgan appena pubblicato, è quello di stare “lunghi”, ovvero acquistare ancora, titoli di Stato italiani a medio e lungo termine.

Il modesto 1,95% dei Btp a cinque anni e il 3,31% dei Btp a dieci anni, corrisponde comunque a un tasso di interesse “reale” dell'1,5% e del 2,9% (lordi). Un valore modesto ma comunque apprezzabile, rispetto a quanto pagano i titoli di Stato tedeschi (1,7% i Bund) e americani (2,7% il Treasury a 10 anni).

I rischi
I rischi di questa situazione sono elevati. Se infatti i rendimenti dovessero aumentare nei prossimi due anni chi investe oggi in emissioni a dieci anni subirebbe perdite importanti, simmetriche a quel guadagno del 6% che abbiamo visto per i Btp nel primo trimestre del 2014. Si calcola che per ogni punto di aumento del tasso di rendimento delle nuove emissioni i vecchi titoli a dieci anni perdano circa il 7% del loro valore.

Gli scenari di rendimento per il Treasury Usa e per il Bund tedesco ipotizzano un aumento della cedola di circa lo 0,5-0,7%, il che si tradurrà inevitabilmente in una perdita per chi investe in queste emissioni. ---- E il Btp? E' molto improbabile che i titoli di Stato italiani risalgono dall'attuale cedola di circa il 2% per i quinquennali e del 3,3% per il dieci anni verso soglie del 4%. I Btp sono infatti protetti dallo scudo dello “spread”. Se infatti i rendimenti dei Bund tedeschi saliranno e lo spread continuerà a scendere un po' i tassi italiani rimarranno sostanzialmente invariati. Quindi il rischio di perdita per l'investitore cassettista è assai limitato.

Occorre invece prestare molta attenzione ai fondi di investimento obbligazionari. Le performance positive che verranno presentate nei rendiconti del primo trimestre 2014 non sono in alcun modo replicabili. I fondi hanno l'obbligo di valorizzare il proprio patrimonio al livello dei tassi di rendimento correnti e così evidenziano delle performance positive quando i tassi sono in calo.

Ma dove possono andare ancora rendimenti che sulle scadenze brevi sfiorano lo zero e che a dieci anni sono di appena due o tre punti percentuali? Per evitare rischi di perdite future, in questa fase conviene gestirsi in proprio il portafoglio di obbligazioni governative italiane. Anche perché se i tassi saliranno il risparmiatore che porta alla scadenza il suo investimento non subisce alcuna perdita, visto che sarà rimborsato alla pari. Fatto 100 l'investimento, gli sarà restituito lo stesso ammontare.

Le alternative più redditizie
Le alternative a questo scenario di rendimenti bassi ma positivi sono molto scarse. L'indice Merrill Lynch Euro corporate Index delle obbligazioni societarie ha fruttato da inizio anno il 2,53%. Un valore positivo che si è giovato dello stesso vantaggio dovuto al calo dei rendimenti di cui hanno approfittato le obbligazioni governative italiane.

Trippa per i gatti, anche sulle obbligazioni societarie ce n'è assai poca. Spesso infatti le obbligazioni societarie (tassate al 20% e non al 12,5% come i titoli di Stato) offrono oggi rendimenti netti inferiori rispetto a quelli dei titoli governativi italiani.

Gli stessi bond high yield (alto rischio, alto rendimento) raggiungono a malapena una media di rendimento del 4,5% tanto si sono ridotti i margini di premio per il rischio. E anche i fondi di invetimento high yield, che pure hanno fruttato negli ultimi due anni performance a doppia cifra sono probabilmente alla fine di un ciclo.

Da adesso in poi i guadagni saranno molto risicati, pronti a trasformarsi in perdita (a causa di quell'effetto di valorizzazione del portafoglio che abbiamo visto sopra) non appena i rendimenti di mercato ricominceranno ad aumentare.

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